Il territorio di Piazza Armerina risulta abitato a partire dall'ottavo-settimo secolo a.C., ma il nucleo attuale della città può farsi risalire al XV secolo quando essa inizia ad assumere un ruolo economico, culturale e religioso di rilievo nell'ambito dei territori circostanti, ruolo che manterrà fino alla seconda metà dell'Ottocento.
Veri centri propulsori delle attività cittadine furono i diversi Ordini religiosi, insediati in conventi e chiese tra le quali quella di San Pietro, nella parte settentrionale della città, si contraddistingue per la sua storia.
Essa era in origine una piccola chiesa fuori le mura, costruita agli inizi del 1300 (NIGRELLI, 1989) nella quale si custodiva un'immagine della Madonna delle Grazie particolarmente venerata dai Piazzesi.Nel 1498 la chiesa fu affidata all'ordine francescano il quale, a partire dal 1500, l'ingrandì e costruì l'annesso convento.
Nel 1624 il convento di San Pietro, per privilegio concesso dal Viceré Filiberto di Savoia, fu dichiarato di regio patronato e quindi innalzò nella chiesa lo stemma reale. Da allora essa divenne il Pantheon dei cittadini più illustri e delle nobili famiglie di Piazza, che vi eressero artistiche cappelle ed eleganti sarcofaghi; anche il pavimento, secondo l'uso del tempo, era coperto di lapidi e di iscrizioni (VILLARI, 1987).
Il convento dei Francescani divenne celebre perché sede di uno Studio delle Provincie della Val di Noto, oltre che per la sua ricchissima biblioteca; esso fu anche sede dell'Accademia Letteraria, di cui furono soci molti illustri letterati siciliani. Purtroppo quasi tutti i libri e manoscritti andarono perduti per l'incuria dei bibliotecari e per l'abbandono a cui andarono incontro sia la chiesa che il convento (CAGNI, 1969).
Adiacente al convento e alla chiesa era la Silva di San Pietro, "vasta estensione di terreno digradante di 4 ettari, 56 are e 29 centiare coltivato in piccolo ortalizio, seminerio boschivo e pascolativo, delimitato da siepi", che, nella parte più prossima ai fabbricati, era mantenuto a giardino con la coltivazione di diverse specie ornamentali.
Nella seconda metà dell'Ottocento importanti eventi storici determinarono un profondo cambiamento nel paese.
In particolare, le leggi eversive del biennio 1866-1867 determinarono la soppressione delle corporazioni religiose e l'esproprio dei fondi rurali ecclesiastici. Nel territorio di Piazza furono chiuse ben 16 case religiose il cui patrimonio complessivo consisteva in 2343 ettari di terra, 6 mulini, case, botteghe e rendite e canoni per oltre 127.500 lire di allora. Tale patrimonio fu convertito in rendita pubblica al 5% e destinato ad opere di pubblica utilità.
Questo provvedimento, che si proponeva il frazionamento del latifondo, alla fine finì per favorire la borghesia agraria, danneggiando subito coloro che prima lavoravano alle dipendenze delle case religiose e favorendo in prospettiva una ulteriore concentrazione latifondistica (NIGRELLI, 1989).
Come risulta dall'inventario manoscritto del 1893, l'ex convento di San Pietro, acquisito dal Demanio il 20 Aprile 1868 per un valore fondiario calcolato in £ 60.000, fu destinato ad uso di quartiere militare e precisamente a caserma di artiglieria; esso consisteva di una "casa composta di 22 stanze terrane e 57 al primo piano".
Per la chiesa fu nominato un rettore "accollandosene il comune la cura".
Nello stesso inventario la Selva di San Pietro viene valutata con un valore fondiario di 15.000 lire e classificata in "pioppeto boschivo, ortalizio ordinario, seminerio, albereto infimo, pascolabile, infruttifero" e destinata a giardino pubblico.
In realtà, in un primo momento fu data in gabella a privati i quali "non potevano apportare modifiche al fondo ma dovevano regolarsi a buon padre di famiglia e non permettere la benchè minima alterazione al fondo; dovrà quindi coltivarlo nel seguente modo: la terra seminandola e nell'ortalizio metterà qualche piantaggione che crederà nel proprio interesse" (Delibera Aprile 1867).
L'affitto continuò fino al 1881, anno in cui furono eletti dal consiglio comunale i deputati per la villa. Solo nel 1883 la selva diventa giardino pubblico e viene intitolata al Generale Garibaldi.
Presso la Biblioteca Comunale è stato possibile consultare le delibere e gli atti d'appalto dai quali risultano i lavori che furono compiuti nel giardino in attuazione del progetto d'arte redatto dal perito Ing. Rosario Cacciola..
Gli interventi, effettuati tra il 1883 e il 1884, riguardarono:
- la costruzione di un acquedotto con tubi di terracotta e betume per alimentare la fontana;
- la sistemazione dello spiazzo in cui è collocato il busto del generale Garibaldi,
- la costruzione della gradinata d'ingresso al giardino in pietra da taglio della montagna di Aidone lavorata a martellina fina;
- la realizzazione della ringhiera in ferro battuto e dei pilastrini in pietra da taglio che devono coronare il muro di prospetto e i muretti che fiancheggiano la scala, nonchè dei muretti a secco per il rivestimento del terrapieno soprastante al piano delle terrazze laterali;
- l'apertura di un nuovo viale, che dal punto dove è collocato il busto del generale Garibaldi, costeggiando la rampa superiore del viale massimo circolare, va verso la siepe che chiude dalla parte sud il giardino;
- la costruzione di una fascia in pietra da taglio attorno allo spiazzo circolare di 10 m di raggio in cui è collocata la fontana, nonchè di 16 controplinti sempre in pietra da taglio per situarvi sopra la colonnetta di sostegno dei vasi da fiori.
Ben poco invece è dato di sapere sull'impianto delle diverse essenze, non essendovi alcuna delibera in proposito ma soltanto generici riferimenti a lavori di coltura, provviste di acqua e concime, riparazioni alle siepi e ai corsi d'acqua (Delibere dal 1892 al 1895). Da ciò si può dedurre che buona parte delle specie erano quelle già presenti nella Selva.
Dalla fine dell'Ottocento fino alla metà del Novecento, tutte le notizie riscontrate sono relative alla manutenzione del quartiere militare (ex convento) e alla riparazione del muro di cinta danneggiato da un'alluvione (1892).
Nell'agosto del 1943 è curiosamente annotata una vendita dei fiori del Giardino Pubblico, i cui proventi vengono ripartiti per metà al Comune e per metà ai giardinieri.
|