Introdotto nell’Isola dagli arabi con il nome fustuq (da cui il termine siciliano fastuca) il pistacchio rappresenta una delle colture più emblematiche del massiccio etneo. Al di fuori del versante occidentale del vulcano è presente episodicamente nelle province di Palermo, Caltanissetta ed Agrigento. I comuni dell’Etna più interessati dalla presenza del pistacchio sono Ragalna, Biancavilla, Adrano, Belpasso e soprattutto Bronte la cui economia agricola è in larga misura legata alla coltivazione di questa specie, in un'area compresa tra i 400 ed i 700 m di altitudine.
Il pistacchio è un albero di medio sviluppo (in media 4-5 m di altezza); tronco ramificato alla base, di colore grigio, con rami penduli, talora procombenti; foglie imparipennate e caduche. Specie dioica (piante maschili e femminili), proterandra, fiorisce prima dello sviluppo delle foglie, tra marzo e maggio; i frutti sono drupe con epicarpo e mesocarpo di colore chiaro che si separano facilmente dall’endocarpo legnoso, spesso deiscente; i cotiledoni dell’unico seme, di colore giallo o verde chiaro costituiscono la parte edule. I semi, ricchi di grassi (54%) e di sostanza azotate (22%), hanno un sapore aromatico; fruttificazione alternante negli anni. Tipica specie stenomediterranea si caratterizza per l’elevata resistenza al secco ed al freddo. La affine specie spontanea terebinto o scornabecco, utilizzata come portinnesto, rappresenta una pianta pioniera della lave vulcaniche, potendosi insediare su substrati pietrosi, poco profondi ed aridi. Il ricorso all’innesto su piante di terebinto in situ, per il passato pressoché esclusivo, ha portato alla costituzione di impianti a sesto irregolare, peraltro molto longevi. I nuovi impianti si avvalgono di sesti regolari, resi possibili dall’utilizzo per l’innesto in vivaio di semenzali di terebinto o di altre specie affini al pistacchio o di franchi della stessa specie. Un dato specifico della pistacchicoltura etnea è rappresentato dalla predominante utilizzazione (fino al 95% in alcune aree) della cultivar "Napoletana" detta anche Janca o Nostrale, dalla buona resa in seme e soprattutto apprezzata per le qualità intrinseche (soprattutto colore ed aroma) che la rendono particolarmente idonea per l’uso nell’industria dolciaria e degli insaccati. Altre cultivar locali sono episodicamente presenti (es. Femminella, Agostara), così come sono in fase di valutazione cultivar di recente costituzione all’estero che non dovrebbero presentare l’alternanza di produzione più o meno caratteristica delle forme locali. Gli interventi colturali non sono molto accurati e frequenti soprattutto nei vecchi impianti, innestati su terebinto, a sesti irregolari, insediati su superfici accidentate e su substrati costituiti da litosuoli lavici. Tali interventi sono spesso limitati alla potatura per contenere lo sviluppo dei rami ed eliminare i succhioni, talora alla concimazione, alla scerbatura ed ove possibile a qualche lavorazione. La raccolta dei frutti è prevalentemente manuale ed è seguita da una tempestiva smallatura; i semi con il guscio vengono quindi essiccati e conservati a bassa temperatura come tali; per particolari usi vengono sgusciati meccanicamente, pelati in acqua bollente ed asciugati sotto flusso di aria calda. I pistacchi dell’Etna sono esportati in molti Paesi europei dove vengono preferiti per l’industria degli insaccati a quelli di provenienza asiatica a motivo delle loro precipue caratteristiche di sapore e di colore. In Sicilia il pistacchio locale viene valorizzato in dolceria come ingrediente per la produzione di gelati, paste di mandorla, confetti, torte, torroni ed altre specialità della pasticceria artigianale.