La storia

a cura di Enrico Blanco

I cultori dei miti omerici nel secolo scorso la chiamarono Lachea, raffigurando in essa l'isola raggiunta da Ulisse nella terra dei Ciclopi. Il termine (un aggettivo dall'etimo incerto, "piatta", "piatta", "coltivata" nel canto IX, verso 116 dell'Odissea) le è rimasto stranamente attaccato fra i tanti simboli (mitologici e non) che hanno popolato il mare di Trezza e che più chiaramente si manifesterebbero ancor oggi: c'è infatti chi ha visto lassù i resti di di un'antica fortificazione fenicia, chi quelli di un luogo di culto, chi la dimora di un Santo eremita o, all'opposto, fra gli scogli quella delle Sirene. Queste, in verità, oggi non più nascoste, ma in bella mostra a crogiolarsi al sole, continuano a lanciare flussi magnetici che ammaliano nella stessa maniera delle loro antenate che tanti secoli fa attiravano i vascelli verso la laguna trezzota perché fossero catturati dalle imbarcazioni pirate che spesso vi si nascondevano a caccia di un ricco bottino.

Messi comunque da parte i miti e le storie opinabili, nella città di Aci l'"isola" (per eccellenza, anticamente, come unica della costa etnea) e, poi, l'"isola delli Faraglioni" e l'"isola di Trezza", veniva indicata nei registri della Segrezia acese, nei secoli precedenti l'Ottocento, "spinusa", e ciò ci fa capire la caratteristica della vegetazione presente e la vera dominatrice di quel luogo: la natura!

La Segrezia era l'ufficio che amministrava per conto della Regia Corte determinati beni cittadini: L'"isola" (che faceva parte dell'antica città di Aci) rientrava fra questi poiché era catalogata fra le "pietre per pescare", cioé quegli "scogli... undi li pisci concurrino... in le quali non ci si può pescare per altro se non per le persone che quelle gabellano". In breve una "riserva di pesca" che il Segreto (un ufficio che si comprava e che sempre cadde in mano a grossi capitalisti non del luogo), in concreto, gestiva a proprio piacimento.

Alla fine del 1600, i principi Riggio, che si erano impossessati della città di Aci SS. Antonio e Filippo (formatasi nel 1640 dopo la prima lacerazione dell'antica e unica Aci), riuscirono a rendere abitato l'unico lembo del loro territorio che si protendeva sul mare, cioé l'attuale cittadina di Trezza, creando il molo, le case e la chiesa. Volevano trovare uno sfogo sul mare per i loro commerci e vi riuscirono: il porto di Trezza, protetto dai cannoni di due ben munite torri, divenne punto di convergenza di barche di ogni nazione che, tuttavia, trovavano sempre condizioni precarie per l'attracco. Così, nel momento di maggior fortuna dello scalo, nel 1748, per renderlo più sicuro, a forza di mine misero giù una fetta di quantità imprecisata della parte sud dell'isola per creare uno sbarramento alle onde lungo fino al Faraglione grande. Dopo un mese di lavoro nel caldo agosto di quell'anno, la forza del mare rese vano il tentativo.

Nel 1803, come bene della vecchia Segrezia, l'isola assieme ai Faraglioni fu data in anfiteusi non solo come "pietra per pescare", secondo l'annua "peggione di onze 2", ma anche per sfruttare con l'agricoltura quel poco di terreno che c'era. Sotto questo aspetto, l'esperto Giovanni Maddem "avendo minuziosamente osservato l'Isola" ritrovò "stroppe 2 di terreno acerbo, pascolante, alla misura di Mascali" ed aumentò il cenzo annuale di "tarì 1 e grana 10".

L'anfiteuta, a sua volta, diede l'isola in gabella ad un campagnolo della "Terra di S. Pietro"; si tentò di creare un vigneto (fatto lo "scatino", furono piantati i "maglioj", cioé i tralci della vite) e mettendo nel terreno anche fichi e fichidindia. L'isola fu anche recintata con "muri e paramuri" e con un bel cancello d'ingresso, mentre la cisterna per l'acqua fu rimessa a nuovo. I lavori si prolungarono per un paio di mesi e fu impiegata una buona somma (più di 100 onze) ma non portarono certamente ai guadagni sperati. Nel 1828 l'isola, assieme al territorio di Trezza, entrò a far parte del comune di Aci Castello, ma furono inutili i tentativi del Sindaco per espropriarla: restò agli eredi dei detentori della Segrezia acese e, in seguito, alla famiglia Gravina.

Il senatore del Regno Luigi Gravina nel 1896, cedeva "a titolo gratuito, il diritto d'uso sopra l'isola e i sette scogli adiacenti per studi scientifici e sperimentali" al Rettore dell'Università degli Studi di Catania, Andrea Capparelli.

Scriveva il Prof. R. Pennisi nel suo volumetto "Aci Castello e dintorni nel 1920": "L'ateneo, accettando il dono cospicuo di tanto valore scientifico, si obbligava di impedire la distruzione del raro materiale contenuto nelle rocce; d'impiantarvi istituti scientifici per gli insegnamenti specialmente biologici; d'impiantare accanto agli istituti stessi, un grande stabilimento di piscicoltura con eventuali applicazioni industriali. A questo proposito fu concessa dal Governo una lotteria che poi non ebbe luogo. Così chi doveva largamente sussidiare tali opere, fin oggi altro non ha concesso che il posto d'un custode e poche migliaia di lire, con le quali è stato costruito il ricovero, ov'é impiantato il laboratorio d'istologia da svilupparsi col tempo, permettendo i mezzi."

Si tentò di costruire un acquario e una stazione di biologia marina ma poi nacque un piccolo, ma prezioso, museo ittico e, grazie al custode, si diede possibilità per decenni alla natura di proliferare rigogliosa fra quelle rocce millenarie che divennero sempre più oggetto di ammirazione dei visitatori di ogni parte del mondo.

Quale scenario migliore si poteva scegliere per la "festa del mare"? Ci fu una giornata di grande mondanità sull'Isola il 30 agosto del 1931: le Autorità e i soci della Lega Navale imbarcatisi a Catania furono accolti nel golfo castellese dallo sparo di 46 colpi di cannone, poi il "clou" fu sull'Isola fra "cremolate" e "acqua fresca", portata con "più viaggi di barche" e diversi recipienti.

Altro spettacolo fu possibile scorgere la sera del 23 giugno 1982, vigilia della festa di S. Giovanni, patrono di Acitrezza: l'Isola e i Faraglioni si illuminarono grazie ad un complesso impianto elettrico steso sopra e sott'acqua. L'artificio tuttavia durò poco per le polemiche che lo accompagnarono e che, alla lunga, portarono all'attuale stato di salvaguardia ambientale con l'elevazione dell'Isola Lachea e dei Faraglioni dei Ciclopi al rango di Riserva Naturale Integrale, la cui gestione è affidata all'Univesità degli Studi di Catania.

Si è aperta così l'ennesima pagina di storia: nuova, ma dal sapore antico nella riscoperta delle bellezze naturali ammirate nel loro eterno divenire, regolato dall'avvicendarsi di giorno e notte, di calma e tempesta, di vita e morte. Eventi, tutti, che invitano a riflettere nel senso della vita di oggi, non molto dissimile in fondo da quella degli antichi progenitori che per la prima volta si affacciarono sull'isola tanti e tanti anni fa.


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