I cultori dei miti omerici nel secolo scorso la chiamarono Lachea,
raffigurando in essa l'isola raggiunta da Ulisse nella terra dei
Ciclopi. Il termine (un aggettivo dall'etimo incerto, "piatta",
"piatta", "coltivata" nel canto IX, verso
116 dell'Odissea) le è rimasto stranamente attaccato
fra i tanti simboli (mitologici e non) che hanno popolato il mare
di Trezza e che più chiaramente si manifesterebbero ancor
oggi: c'è infatti chi ha visto lassù i resti di
di un'antica fortificazione fenicia, chi quelli di un luogo di
culto, chi la dimora di un Santo eremita o, all'opposto, fra gli
scogli quella delle Sirene. Queste, in verità, oggi non
più nascoste, ma in bella mostra a crogiolarsi al sole,
continuano a lanciare flussi magnetici che ammaliano nella stessa
maniera delle loro antenate che tanti secoli fa attiravano i vascelli
verso la laguna trezzota perché fossero catturati dalle
imbarcazioni pirate che spesso vi si nascondevano a caccia di
un ricco bottino.
Messi comunque da parte i miti e le storie opinabili, nella città
di Aci l'"isola" (per eccellenza, anticamente, come
unica della costa etnea) e, poi, l'"isola delli Faraglioni"
e l'"isola di Trezza", veniva indicata nei registri
della Segrezia acese, nei secoli precedenti l'Ottocento, "spinusa",
e ciò ci fa capire la caratteristica della vegetazione
presente e la vera dominatrice di quel luogo: la natura!
La Segrezia era l'ufficio che amministrava per conto della Regia
Corte determinati beni cittadini: L'"isola" (che faceva
parte dell'antica città di Aci) rientrava fra questi poiché
era catalogata fra le "pietre per pescare", cioé
quegli "scogli... undi li pisci concurrino... in le quali
non ci si può pescare per altro se non per le persone che
quelle gabellano". In breve una "riserva di pesca"
che il Segreto (un ufficio che si comprava e che sempre cadde
in mano a grossi capitalisti non del luogo), in concreto, gestiva
a proprio piacimento.
Alla fine del 1600, i principi Riggio, che si erano impossessati
della città di Aci SS. Antonio e Filippo (formatasi nel
1640 dopo la prima lacerazione dell'antica e unica Aci), riuscirono
a rendere abitato l'unico lembo del loro territorio che si protendeva
sul mare, cioé l'attuale cittadina di Trezza, creando il
molo, le case e la chiesa. Volevano trovare uno sfogo sul mare
per i loro commerci e vi riuscirono: il porto di Trezza, protetto
dai cannoni di due ben munite torri, divenne punto di convergenza
di barche di ogni nazione che, tuttavia, trovavano sempre condizioni
precarie per l'attracco. Così, nel momento di maggior fortuna
dello scalo, nel 1748, per renderlo più sicuro, a forza
di mine misero giù una fetta di quantità imprecisata
della parte sud dell'isola per creare uno sbarramento alle onde
lungo fino al Faraglione grande. Dopo un mese di lavoro nel caldo
agosto di quell'anno, la forza del mare rese vano il tentativo.
Nel 1803, come bene della vecchia Segrezia, l'isola assieme ai
Faraglioni fu data in anfiteusi non solo come "pietra per
pescare", secondo l'annua "peggione di onze 2",
ma anche per sfruttare con l'agricoltura quel poco di terreno
che c'era. Sotto questo aspetto, l'esperto Giovanni Maddem "avendo
minuziosamente osservato l'Isola" ritrovò "stroppe
2 di terreno acerbo, pascolante, alla misura di Mascali"
ed aumentò il cenzo annuale di "tarì 1 e
grana 10".
L'anfiteuta, a sua volta, diede l'isola in gabella ad un campagnolo
della "Terra di S. Pietro"; si tentò di
creare un vigneto (fatto lo "scatino", furono
piantati i "maglioj", cioé i tralci della
vite) e mettendo nel terreno anche fichi e fichidindia. L'isola
fu anche recintata con "muri e paramuri" e con
un bel cancello d'ingresso, mentre la cisterna per l'acqua fu
rimessa a nuovo. I lavori si prolungarono per un paio di mesi
e fu impiegata una buona somma (più di 100 onze) ma non
portarono certamente ai guadagni sperati. Nel 1828 l'isola, assieme al
territorio di Trezza, entrò
a far parte del comune di Aci Castello, ma furono inutili i tentativi
del Sindaco per espropriarla: restò agli eredi dei detentori
della Segrezia acese e, in seguito, alla famiglia Gravina.
Il senatore del Regno Luigi Gravina nel 1896, cedeva "a
titolo gratuito, il diritto d'uso sopra l'isola e i sette scogli
adiacenti per studi scientifici e sperimentali" al Rettore
dell'Università degli Studi di Catania, Andrea Capparelli.
Scriveva il Prof. R. Pennisi nel suo volumetto "Aci Castello
e dintorni nel 1920": "L'ateneo, accettando il
dono cospicuo di tanto valore scientifico, si obbligava di impedire
la distruzione del raro materiale contenuto nelle rocce;
d'impiantarvi
istituti scientifici per gli insegnamenti specialmente biologici;
d'impiantare accanto agli istituti stessi, un grande stabilimento
di piscicoltura con eventuali applicazioni industriali. A questo
proposito fu concessa dal Governo una lotteria che poi non ebbe
luogo. Così chi doveva largamente sussidiare tali opere,
fin oggi altro non ha concesso che il posto d'un custode e poche
migliaia di lire, con le quali è stato costruito il ricovero,
ov'é impiantato il laboratorio d'istologia da svilupparsi
col tempo, permettendo i mezzi."
Si tentò di costruire un acquario e una stazione di biologia
marina ma poi nacque un piccolo, ma prezioso,
museo ittico e, grazie al custode, si diede possibilità
per decenni alla natura di proliferare rigogliosa fra quelle rocce
millenarie che divennero sempre più oggetto di ammirazione
dei visitatori di ogni parte del mondo.
Quale scenario migliore si poteva scegliere per la "festa
del mare"? Ci fu una giornata di grande mondanità
sull'Isola il 30 agosto del 1931: le Autorità e i soci
della Lega Navale imbarcatisi a Catania furono accolti nel golfo
castellese dallo sparo di 46 colpi di cannone, poi il "clou"
fu sull'Isola fra "cremolate" e "acqua
fresca", portata con "più viaggi di barche"
e diversi recipienti.
Altro spettacolo fu possibile scorgere la sera del 23 giugno
1982, vigilia della festa di S. Giovanni, patrono di Acitrezza:
l'Isola e i Faraglioni si illuminarono grazie ad un complesso
impianto elettrico steso sopra e sott'acqua. L'artificio tuttavia
durò poco per le polemiche che lo accompagnarono e che,
alla lunga, portarono all'attuale stato di salvaguardia ambientale
con l'elevazione dell'Isola Lachea e dei Faraglioni dei Ciclopi
al rango di Riserva Naturale Integrale, la cui gestione è
affidata all'Univesità degli Studi di Catania.
Si è aperta così l'ennesima pagina di storia: nuova,
ma dal sapore antico nella riscoperta delle bellezze naturali
ammirate nel loro eterno divenire, regolato dall'avvicendarsi
di giorno e notte, di calma e tempesta, di vita e morte. Eventi,
tutti, che invitano a riflettere nel senso della vita di oggi,
non molto dissimile in fondo da quella degli antichi progenitori
che per la prima volta si affacciarono sull'isola tanti e tanti
anni fa.